Un nuovo e importante ruolo per la rete di default

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 29 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 L’identificazione della rete di default (DMN, da default mode network) ha coinciso con una definizione concettuale del suo ruolo fisiologico che, in un certo senso, si è poi rivelata condizionante, soprattutto agli inizi della ricerca finalizzata ad una libera esplorazione della sua reale identità neurofisiologica e della possibilità di un più articolato spettro di ruoli svolto dall’insieme delle aree che la costituiscono o anche solo da parti di esse.

Lo studio della sua attività apparsa anomala nella depressione, e collegata ai processi mentali detti di “ruminazione”, è stata forse la prima traccia per l’indagine su ruoli diversi dall’entrata in funzione come automatismo intrinseco di fondo. Da quelle osservazioni in poi è stato chiaro che la DMN costituisce un riferimento importante per l’individuazione delle basi di numerosi processi connessi con l’attività psichica e, in particolare, col pensiero. Recentemente, in uno studio sulla connettività di ampia scala, la DMN è stata collocata in cima ad una gerarchica di livelli al cui fondo sono stati posti i sistemi sensoriali e motori[1].

Prendendo le mosse da varie osservazioni precedenti, Marstaller e colleghi hanno indagato la possibilità di un ruolo fin qui mai esplicitamente ipotizzato per la DMN: l’esito della sperimentazione conferma una funzione di contestualizzazione adattativa nell’apprendimento affettivo.

(Marstaller L., et al., Adaptive contextualization: A new role for the default mode network in affective learning. Human Brain Mapping – Epub ahead of print doi: 10.1002/hbm.23442, Oct. 21, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Centre for Advanced Imaging, University of Queensland, Brisbane (Australia); School of Psychology, Cardiff University, Cardiff (Regno Unito); Department of Psychology, Swansea University, Swansea (Regno Unito).

La rete di default (DMN), inizialmente detta anche default state network, è una rete di regioni cerebrali altamente interconnesse nella loro attività e distinta dalle altre reti per la bassa connessione funzionale con le loro aree[2]; è stata inizialmente caratterizzata per la sua automatica entrata in funzione - appunto di default - quando un soggetto sveglio non è impegnato da stimoli del mondo esterno (come un compito sperimentale) e la sua mente non è gestita da un controllo cosciente determinato e propositivo dell’ideazione, ma è governata da una fluidità tendenzialmente passiva come nel sogno ad occhi aperti o in quel vagare da un pensiero all’altro che talvolta precede il sonno.

Tale caratterizzazione è stata desunta dalle prime osservazioni che hanno portato alla sua identificazione ma, come più sopra accennato, gli studi successivi ne hanno modificato il profilo, evidenziando il suo impegno quando una persona pensa di sé, degli altri, di vicende o fatti autobiografici accaduti nel passato ed anche quando elabora propositi e piani per il futuro[3]. Se la focalizzazione dell’attenzione finalizzata ad uno scopo non riguarda un semplice compito cognitivo “carta e penna” o presentato sullo schermo di un computer, ma impegna la memoria di funzionamento sociale, si è rilevata un’attivazione della DMN; allo stesso modo questa rete si presenta attiva quando i volontari sono sottoposti a compiti sperimentali a contenuto autobiografico[4].

Sulla base di una serie di studi si ipotizzano ruoli della DMN nelle seguenti aree di attività mentale: memoria autobiografica, di tratti del sé, dell’affettività e delle emozioni; memoria episodica; concezione e percezione delle emozioni degli altri e dei loro stati mentali (cosiddetta teoria della mente); giudizio sociale ed impiego di categorie sociali per la formulazione di valutazioni; ragionamento morale; rievocazione del proprio passato; prefigurazione di possibili eventi futuri; comprensione del significato di trame narrative.

Infine, in varie condizioni neuropatologiche e psicopatologiche, a partire dalla malattia di Alzheimer e dai disturbi dello spettro dell’autismo, sono state rilevate anomalie nella DMN.

Le prove sperimentali impiegate per lo studio delle basi dell’apprendimento sono numerose e variano in una gamma che va dall’associazione condizionata della reazione di paura fino a compiti esclusivamente cognitivi. Un paradigma particolarmente interessante è quello indicato in inglese dalla locuzione bitermine safety learning, che designa l’abilità di apprendere che un determinato stimolo indica l’assenza di eventi pericolosi o minacciosi.

In relazione a vari contesti sperimentali, è stata incidentalmente osservata la presenza di attività all’interno di aree cerebrali ascritte alla DMN durante l’elaborazione di stimoli “sicuri”, indicanti una potenziale fenomenica assolutamente innocua (safety cues); tuttavia non sono state indicate evidenze o fornite prove che dimostrino una diretta e specifica responsabilità funzionale della DMN ed escludano un suo semplice ruolo ancillare.

Marstaller e due colleghi hanno indagato i correlati neurali dell’apprendimento del pericolo e dell’acquisizione scevra da rischi (safety learning) impiegando l’imaging cerebrale ottenuto con la metodica della risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) facendo ricorso ad un paradigma di condizionamento pavloviano alla paura e ad un paradigma di estinzione.

Il lavoro sperimentale non sembra lasciare adito a dubbi, documentando evidenze a favore di un ruolo attivo da protagonista neurofunzionale della DMN, che si possono così sintetizzare:

     1) la DMN è attivata dagli stimoli sicuri e non da quelli pericolosi;

     2) la DMN risulta anti-correlata con una rete che elabora la paura;

     3) l’attivazione della DMN cresce con il safety learning.

Basandosi su quanto emerso dallo studio, i ricercatori avanzano una nuova ipotesi, suggerendo che l’attività in seno alla DMN agisca nel modo seguente:

     1) supporti la contestualizzazione di memorie sicure;

     2) prevenga la generalizzazione della paura;

     3) supporti l’apprendimento adattativo alla paura.

Gli autori dello studio sostengono che il loro lavoro possa avere importanti implicazioni per la comprensione delle basi cerebrali dei disturbi affettivi e da stress, nei quali si registra un’attività aberrante della DMN. Infatti, secondo i risultati ottenuti da questo studio, è lecito supporre che le terapie che agiscono sulla DMN (pratiche di meditazione, stimolazione cerebrale, ecc.) possono contribuire ad impedire la generalizzazione degli apprendimenti associati alla paura o al suo equivalente neurofunzionale, ossia l’ansia (Angst) - o “paura senza oggetto” secondo la classica distinzione freudiana - che caratterizza un’intera classe di disturbi psicopatologici e costantemente si associa alla depressione da stress.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-29 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si veda in Note e Notizie 29-10-16 Notule.

[2] È stata documentata in vari lavori la correlazione negativa con le reti che mediano la fisiologia dell’attenzione.

[3] Cfr. lo studio ormai classico coordinato da Schacter: Buckner R. L., et al. The Brain’s Default Network: Anatomy, Function, and Relevance to Disease. Annals of the New York Academy of Sciences 1124 (1): 1-38, 2008. Cfr. anche il recente riferimento in Matthew Lieberman, Social, p. 19 (2 settembre), Brodway Books 2016.

[4] Spreng R. N., The fallacy of a “task-negative” network. Frontiers in Psychology 3: 145, 2012.